martedì 9 gennaio 2018

 


Capitolo IX

 

(trascrizione a cura di Giovanni Lo Presti, Salvatore Salmeri e Massimo Tricamo)

 

Disertori riferiscono che, a causa della penuria di denaro, sono stati richiesti prestiti ai cittadini per il sostentamento delle truppe spagnole Si disse d’alcuni desertori venuti in questa dal campo nemico spagnuolo, al numero di sei, che, per retrovarsi nel sudetto campo molta scarsezza di denari, si abbia richiesto alli paesani somma di denari per sussidio delle truppe. Il che si confermò da molti nella città. Come pure in più giorni hanno venuto nel campo spagnuolo diverse imbarcazioni con molte provisioni di guerra e di viveri.

 

Il nuovo forte eretto dagli Spagnoli in contrada Albero continua a danneggiare la città, in particolare il convento dei Carmelitani, la cui chiesa (per la vicinanza ad un forte austro-piemontese) viene distrutta. Il bastione nuovamente fabricato dalli Spagnuoli nella contrada dell’Albero ha continuato il disparo di molti cannoni contro la città. Perloché s’ha dirupato il restante delle case. Dicevano gli officiali tudeschi che detto forte fosse stato malamente costrutto e che con difficoltà avesse potuto far danno notabile alla città. Ma il contrario si conobbe, stante che apertamente s’osservò che tutta la parte inferiore di essa città, specialmente il convento de Padri Carmelitani, sia stata tutta fracassata sino al suolo. Tanto più che vicino detto convento, nella ripa del mare, fu fatto un fortino da questo signor comandante tudesco, con aversi posto cannoni per tirare alli Spagnuoli. Onde sudetto convento, particolarmente la Venerabile chiesa di esso, dell’intutto fu dirupato sin a terra, con essere stata [la chiesa] abbandonata. Ed alcuna messa si celebrava giornalmente dalli  reverendi Padri -  si diceva - in una stanza vicino la porteria, remota dal campo nemico.

S’osservò da questa città che gli Spagnuoli abbiano retirato dalli loro fortini più pezzi di cannoni. Si giudicò o aversi rotto, o sfoconato, o pure per conoscere non esserli profittevoli.
 
 
 
Guerra del 1718 in Italia per la successione di Spagna - I. e R. Istituto Geografico Militare in Vienna (contenuta in Campagne del principe Eugenio di Savoia / opera pubblicata dalla Divisione storica militare dell'I. R. Archivio di guerra [austro-ungarico] in base a documenti officiali e ad altre fonti autentiche [fatta tradurre e stampare da sua maestà Umberto Primo Re d'Italia] - Torino : Tip. L. Roux e C - vol. XVIII edito nel 1901: Guerre in Sicilia e in Corsica negli anni 1717-1720 e 1730-1732)

 

14 marzo 1719

Continua la diserzione di soldati d’ambo le parti 14 marzo. La notte passata un soldato granatiero del regimento di Salluzio di Piemonte se ne fuggì nel campo Spagnuolo. Il che ha seguito continuamente da molt’altri soldati, così tudeschi, come savoiardi e di Piemonte. E del principio della guerra sino al fine. E siccome s’ha raccontato esserci stato alcuni desertori dal campo spagnuolo, con aver passato in città, bensì distintamente non siano stati tutti col numero prefisso, altretanto ha seguito dalli nostri nel nostro campo nemico.

Nella medema notte vennero tre desertori in città, uno tudesco, qual era  stato prigioniero fatto in Sardegna, e due Spagnuoli, l’uno di Aragona, granatiero del regimento di Savoia, quale venne per terra, e l’altro granatino, quale passò a nuoto per mare ignudo senza nemeno calsoni. Tutti e tre non dissero cosa alcuna di considerazione, oltreché, per essere nelle loro relazioni discordi, non si puotè dar credito alcuno.

 

Nonostante le ostilità, inviati dal campo spagnolo doni al generale Zumjungen Con tutto che in questo giorno non s’avesse mai cessato il disparo delli cannoni col gettito delle bombe continuamente - e la notte col fuoco di più migliara di scopettate nelle trinciere, nelle quali si disparavano molti mortari con pietre - non perciò tra gli comandanti d’un esercito e l’altro non passavano gli atti civili e di complimento. Siccome nel medemo giorno dal campo spagnuolo furono rimessi al signor generale Zumjungen, comandante tudesco, un mazzo di carte di giuoco, uno stipo di vino [e] un cappello finissimo con molt’altre galanterie.

 

15 marzo 1719

Giunge al Capo, a bordo d’una feluca proveniente da Reggio e dopo lunga detenzione, Don Guglielmo Colonna, il quale, grazie al comandante Missegla, ottiene incarichi dallo Zumjungen A 15 marzo. Non prima di questa notte approdò in questo Capo una feluga venuta da Reggio, nella quale si retrovava il signor Don Guglielmo Colonna di questa, inviato dalli Spagnuoli della città di Messina per aver ottenuto il cambio come uno de’ prigionieri di guerra, doppo tanti mesi di carcerazione come di sopra s’ha espressato. Anzi, il medemo conseguì il soldo di scudi quindeci il mese, non solamente in avvenire, pure dal primo giorno che restò prigioniero nel Faro di Messina, allorché passava in Reggio inviato da questo signor Governadore Missegla, pria che avessero passato nel Regno gli Inglesi e le truppe tudesche.

Il sudetto di Colonna, per essere stato persona molto perspicace ed intelligente, col mezzo del detto signor di Missegla, comandante della Piazza, fu introdotto al signor generale Zumjungen, tedesco. Tanto che tutte le consulte così spettanti all’esercizio militare, come in altre cause, erano riconosciute dal medemo di Colonna come consultore. Onde al sommo prevaleva. Del che principiarono le sue fortune cogli avantaggi che in appresso a minuto si descriveranno.

 

Inizia a cannoneggiare e bombardare il fortino appena costruito alle spalle del convento del Carmine, nel lungomare Da più giorni antecedenti s’avea principiato dalli comandanti in questa città un fortino dietro il convento del Carmine, per la parte della Marina. Ed in questo giorno, per essere stato dall’intutto finito (bensì con un grandissimo danno delli soldati per essere in parte discoperto dal cannone de’ nemici, come pure del medemo convento per le molte cannonate degli Spagnuoli disparate per non perfezionarsi [tale forte in costruzione, ndr]), ciò nonostante, principiò il fuoco di tre cannoni in detto fortino, accomodati contro quei di essi Spagnuoli, col disparo di bombe pure nel medemo fortino poste.

 

16 marzo 1719

I Milazzesi vigilano sulle proprie case per evitare furti o invasioni da parte del nemico A 16 marzo. Se dalli signori comandanti militari in città s’attendeva con esquisita circospezione al servizio reale ed alla defensione di essa, con mettersi le guardie necessarije per quello che dal nemico spagnuolo s’avesse potuto tentare, altretanto da quei pochi cittadini rimasti in città s’invigilava con tutta accuratezza a far le sentinelle nelle loro proprie case: non solo per sapersi quello l’avrebbe forse successo, specialmente in nottetempo, o per non seguire alcun furto in dette loro case o alcuna invasione repentina dagli nemici, ed inoltre per non succedere alcun disparo di qualche bomba o palla di cannone. E così si faceva la sentinella, almeno dietro a tutti quei che unitamente abitavano in dette case, benché tutti per necessità erano forzati di star molto vigilanti tanto per il disparo di cannoni con bombe che di continuo seguiva, come inoltre per le reiterate scopettate nelle trinciere seguite, che appareva aversi in ogni istante attaccato battaglia generale. Oltreché tutta la notte si faceva trasporto e di cannoni e di casse d’artegliarie ed altri ordigni di guerra da detto Capo sino agli ultimi confini della città vicini alli Spagnuoli, caminando le truppe in ogni notte per il trasporto sudetto, non potendosi far di giorno per non essere discoperti dal nemico. E così si può reflettere con qual quiete si poteva dagli poveri cittadini serrare gli occhi? E ciò seguì dal principio sin al fine della guerra.
 
 

 

Crolla casa abitata da una famiglia austriaca: muore una bimba Anzi, la notte precedente, conducendosi da più centinara di soldati due cannoni da detto Capo nel Quartiero nomato delli Spagnuoli, con le casse ed altri ordegni militari, domentre si retrovavano nel piano del convento de’ Padri Domenicani, si precipitò dell’intutto una casa un puoco distante nomata di Matalone,  nella quale commorava una famiglia tudesca. Quale per miracolo sfuggito l’eccidio, restando ferita solamente. In mezzo della fabrica dirupata, sepolta nelle pietre, restò uccisa una figliolina tudesca. Insomma, fu così veemente lo spavento delli vicini, tanto per il mormorio delle truppe, come per le grida e lamenti di quei che commoravano in detta casa. Col pianto inesorabile della madre di quella poveretta uccisa figliuola, dovendo disotterrarla dalla fabrica ruvinata, ed inoltre in aver cura della robba, quale pure nella magior parte li fu derubbata dalli soldati, ancorché fossero dell’istessa nazione. Fu un caso così lagrimevole, che si deve attribuire a gran portento che molti non avessero persa la vita in così funesto caso.

 

Duello tra il conte Roas e Don Antonino Chaves de Tappia al di fuori della Porta del Capo. Grazie all’intervento dei militari non ebbe poi luogo Seguì pure una disfida tra il signor conte Roas, capitano piemontese del regimento de’ Focilieri, ed il signor Don Antonino Chaves de Tappia, gentiluomo di questa città, per causa che suddetto conte avea dato somma di denari al detto di Chaves Tappia per comprar robba comestibile, affinché si facesse alcun lucro tra essi, come infatti s’adoprò il Tappia con ogni attività a tal servizio. Infine, avuti fra loro contratti sopra il lucro (come si publicò), o per altra cagione, si devenne al duello, quale si concertò farsi fora la Porta del Capo per battersi. Ma, discovertosi dagli officiali il conflitto da farsi, non seguì l’attacco ed il duello. Anzi, interposti alcuni amici, si pacificarono. Bensì restando al conte alcun sinderesi per le relazioni avute dal Tappia sopra il suo negoziato e lucro fatto e conseguito.

 

Diserzione di un fuciliere piemontese dalle trincee spagnole. Imprigionato a Messina nel Castello di Matagrifone, s’era poi arruolato nel reggimento delle Guardie Valloni per poi rientrare nei Fucilieri sabaudi Desertò dal campo spagnuolo un soldato piemontese fociliero, il quale da più tempo era stato prigioniero nella perdita del Castello di Mattagriffone nella città di Messina. E benché doppo avesse passato nelli Spagnuoli nel regimento de’ Valloni, la notte passata nel far dell’alba, avuta la commodità mentre si retrovava di guardia nelle trinciere, se ne passò furtivamente in questa città, retornando nella sua propria compagnia che si retrovava in questa.

Riferì che nel campo nemico si retrovavano truppe molto scielte e fiorite, vivendosi dalli soldati con alcuna loro soddisfazione. E che li Paesani e le genti della Comarca s’avevano fatto commodi, lucrandosi molto nella vendita di ogni sorta di vettovaglie, specialmente di carni, caccia minuta e selvaggina grossa. Di più, che nel campo si governavano gli comandanti ed altri officiali subalterni verso gli soldati con ogni dovuta regola militare. Ed essi soldati li stimavano con ogni esquisita osservanza.

 

Ancora morti e feriti tra i militari per il continuo fuoco dei cannoni. I cittadini pensano a salvare la vita piuttosto che i propri beni La notte scorsa si dispararono nelle trinciere più migliara di schioppi col disparo di molti mortari di pietre. Perloché furono uccisi cinque soldati e nove feriti. Ed alcuni di essi stroppiati.

Ed in questo giorno fu così continuo il fuoco delli cannoni e delle bombe, d’una parte e l’altra, che in città si stiede con grandissimo timore e spavento. E benché molte e molte case, specialmente nelle parti inferiori d’essa città, avessero restato o in tutto o in parte devastate, con l’assassinio [furti, ndr] che seguiva dalli soldati tudeschi in dette case, non si badava dalli poveri cittadini più alla loro abitazione, al mobile o al brucciato o predato, ma solo alla conservazione della propria vita. Per non morire disgraziatamente o con palla di cannoni o con bombe, che di notte e di giorno si gettavano dal campo nemico impensatamente contro questa povera città.

 

Arriva da Tropea il commissario generale delle truppe piemontesi Ferrier La medema notte precedente in essa città venne monsignor Ferrier, commissario generale delle truppe di Savoia e Piemonte, con aver partito da Tropea. Ed inviato serio da quel regnante padrone, sin a quel tempo di questo regno, per riconoscere tutta l’hasienda reale. Come infatti fra pochi giorni spedì la sua commissione, attestando dover effettuare l’istesso per tutto il regno. Alcuni saccenti cittadini, col loro elevato intendimento, affermarono aver venuto tal sogetto in Sicilia per riconoscere tutti gli affari del regno e gli introiti e gli esiti di esso. Giachè esso regno doveva esser sotto altro dominio [avrebbe dovuto cambiar sovrano, ndr] (come si vedevano allora li preludij). E dopo si sperimentò effettivamente, avendo rimasto in potere della Cesarea Catolica Maestà di Carlo Sesto Imperadore, e Terzo della monarchia di Spagna e Sicilia.

 

17 marzo 1719

Altri disertori spagnoli rifiutano di arruolarsi per gli austro-piemontesi, richiedendo piuttosto di poter andare a Napoli 17 marzo. Cinque soldati Spagnuoli su l’alba in questo giorno se ne fuggirono dal loro campo, con aver venuto in questa città. E riconosciuti dal signor comandante Zumjungen, con farsi le solite petizioni, altro non propalarono che in detto campo si ritrovavano truppe ben scielte e guerriere, con ventiotto regimenti. E che si viveva splendidamente con molta abbondanza. Questi non volsero prender partito, asserendo voler passare in Napoli, come in breve seguì occorsa l’occasione necessaria.

Sempre di giorno in giorno avanza il fuoco delli cannoni e bombe d’una parte e l’altra. E la notte nelle trinciere continuano le scopettate col gettito di molte pietre, con aver seguito la morte di tre soldati uccisi con palle di schioppi ed altri feriti.

 

Il forte eretto accanto al convento dei Carmelitani viene bersagliato dalle artiglierie dell’altro forte di contrada Albero, che colpiscono inevitabilmente la chiesa del Carmine, sempre più diruta. Gli austro-piemontesi non mancano tuttavia di rispondere con altro fuoco Il bastione nella contrada dell’Albero ben mattino principiò il disparo delli suoi cannoni con una batteria continua con questa città, specialmente servendoli di bersaglio il forte fatto vicino il convento del Carmine nella Marina. Con aver durato sino la sera, conquassandosi dell’intutto la venerabile chiesa di esso convento. Bensì dal detto fortino si diede la pariglia, disparandosi li suoi cannoni contro detto bastione nemico [e] gettandosi di una parte e l’altra molte bombe.

 

18 marzo 1719

Fuga di un cannoniere francese dal campo spagnolo. Continuano le cannonate e le bombe in città con la demolizione di molte case e la morte di altri sei soldati austriaci. Questi ultimi seppelliti accanto alle trincee in cui morirono 18 marzo. La notte passata venne dal campo spagnuolo un cannoniero francese. Raccontò che non si patisce di nulla in detto campo, né di viveri, né di provisione di guerra. Ed essere gli Spagnuoli ben fortificati, con 28 regimenti ben guarniti.

Continuarono le cannonate e le bombe in città col demolimento di molte case. E la notte nelle trinciere era molto il fuoco di scopettate; e si gettarono mortari di pietre, tanto che  la mattina comparvero molti feriti. E sei soldati tudeschi restarono uccisi con palle di schioppo e con pietre, con aver conseguito le loro cappelle nella sabbia vicino dette trinciere conforme al solito.

 

Colpito il conte piemontese Roas mentre si accinge a recarsi nelle trincee. Viene decapitato da una palla di cannone lanciata dal fortino spagnolo di contrada Albero Il conte Roas, piemontese, capitano del reggimento di Focilieri, ritrovandosi all’alba con molte truppe di soldati squadronati nel piano della chiesa di Giesù e Maria la Nuova, innanzi la casa del signor Don Francesco Proto de Alarcon, dovendo andare di guardia nelle trinciere con detti soldati, impensatamente fu colpito nella testa con una palla di cannone disparata dal fortino nella contrata dell’Albero, con esserli stato tolto tutto il capo dal busto. E dovendo suddetta palla correre nelli soldati, li quali seguivano sudetto conte come capo, ritornò indietro al rintuzzamento che fece nella testa del miserando conte, tanto che la moltitudine di tante truppe restò senza danno alcuno, bensì con molto spavento. La morte disgraziata del detto conte fu di molto sentimento ed affetto non solo a tutti gli ufficiali di Piemonte e di Savoia, con li loro soldati nazionali, pure alli Tudeschi, per essere stato un cavaliere di molto garbo e cortesissimo. E per aver avuto molta nobiltà.

E l’anni scorsi, invaghito d’una donna vedova di questa, nomata Saveria Trusiano, con una figlia di [non nomato], olim [un tempo, ndr] moglie di un sargento reformato spagnuolo, [per] matrimonio suo marito in tempo che dominava il Re di Spagna questo Regno. E non pretendeva sposarla, con tutto che avesse giaciuto con la medema e generato un figlio, parendoli molto pregiudizievole per la sua prosapia [il conte era già sposato, ndr]. Ma ravvisto nella coscienza privatamente quella sposò, trattandola da moglie per non peccare. E la fece trasportare in Catania per esser allevato, manutenendola, suo figlio. Anzi, per l’affezione che sempre alla detta portò, l’ instituì sua erede universale doppo il commun loro figlio. Perloché, seguita sudetta morte, dal fratello del conte ucciso si pretendeva l’eredità. Ma - conosciuto il fatto veridico - fu escluso questi, ottenuta la lite a suo favore e del figlio, così determinato dalli officiali del suo reggimento. Si disse che il contante ed il mobile del conte fu in somma considerabile.

 

Partenza del generale Wallis per Tropea per motivi di salute. In realtà il suo viaggio aveva lo scopo di sollecitare le spedizioni di viveri, armi e munizioni. La notizia della sua partenza viene accolta favorevolmente dai Milazzesi che gli addebitavano la distruzione della maggior parte dei quartieri della città Ben tardi partì da questa città sopra una tartana il signor generale Vallais, per conferirsi in Tropea. Asserì per mutar aria, avendo stato da più giorni un puoco indisposto. Ma il principale motivo fu per sollecitare le provisioni necessarie cossì di viveri, come di guerra, in servizio della Cesarea e Catolica Maestà. Siccome publicamente nella città si narrava, la partenza di questo signor generale fu vista dalli paesani con molto consuolo, avendo in opinione quasi tutti che se non avesse processo la sua fervorosa diligenza in fortificar la città (come lui asseriva) non si avrebbero demolite tante e tante case, per non dir quartieri intieri. Come quello della Marina, vicino della porta di San Gennaro; altro sotto il quartiero nominato delli Spagnuoli, sino alla chiesa di Giesu Maria; altro nel Casale; altro nella vanella di San Giacomo; altro nominato dell’Argentieri; altro nominato delli magazeni; altro di sotto il palazzo di Baeli; altro nominato del Puzzo di Melazzo; ed altri ed altri, con aversi tutti demoliti col pretesto che necessitava andar in terra per farsi campagna rasa, quando che s’osservò che molti si dirupavano per aversi fascine e legna. Io attesto così aver disposto Dio per le nostre colpe, giaché le cause seconde sempre ed infallibilmente soggiacciono all’Eterno Motore. E cossì non si devono esplorare l’azzioni di chi può ordinare se sono o favorevoli o infauste, o a nostro benefizio o a nostro danno.

 

Continua il fuoco delle artiglierie: morti e feriti Non cessò in questo giorno il fuoco delli cannoni e bombe sino la sera. E la notte nelle trinciere il disparo di molti mortari di pietre e quantità di scopettate per uccidersi gli poveri soldati. Come, infatti, tre di essi restarono morti con palle di schioppi e con pietre ed altri feriti e stroppiati. Inoltre molte case in città, specialmente nella parte inferiore, restarono fracassate e di palle e di bombe. Ed una palla di cannone, disparata dal fortino dell’Albero, corse sino al quartiero del Giardinello, caminando molto bassa. Tanto che s’osservava nel corso. E ritrovandosi due soldati tudeschi, l’uno per sua fortuna scampò il colpo e restò libero; e l’altro, non molto badando al pericolo, restò ucciso di subito, ferito da detta palla nel petto vicino la gola e tutto fracassato.




 

19 marzo 1719

Tregua apparente tra i due eserciti durante il giorno. La sera, infatti, il fuoco delle artiglierie - ad iniziare da quelle del bastione di Santa Maria nella Cittadella - riprende più di prima, scatenando l’inferno. I cittadini si uniscono in preghiera, temendo di perder la vita 19 marzo. Dal mattino sino vicino Vespro s’osservò che né in questa città, né dal campo spagnuolo, si disparò cannone alcuno. Né fu gettata alcuna bomba, apparendo come s’avesse fatto tregua tra gli due eserciti.

Ma, doppo, fu cossì vehemente e continuo il fuoco delli cannoni, principiato dal bastione di Santa Maria nella Cittadella, col gettito delle bombe, che sembrò aversi scatenato l’abisso infernale. Poiché quello che si sospese nel mattino si raddoppiò sino la sera. Perloché tutti gli poveri abitatori, per il molto timore e spavento di perder la vita, sembravano nonché estatici, insensati, pallidi e semimorti. Oltreché la maggior parte non si fece vedere, nemeno nelle strade più remote. Solamente in più luoghi s’unirono gli congionti e familiari, raccomandandosi coll’orazioni a Dio ed alla Beatissima Vergine sua madre Maria, cògli Santi loro devoti, affinché fossero liberati da tal flagello. Poiché realmente ogn’uno credeva di morire.

 

Una palla di cannone sparata dal fortino della Tonnara di Milazzo giunge sino al piazzale del convento di S. Domenico, colpendo la casa dell’autore del presente manoscritto Inoltre si vidde che una palla di cannone disparata dal fortino della Tonnara di Melazzo corse sino al piano del convento di San Domenico e diede nella cantonera di pietra della casa del signor Domenico Barca. E si notò che prese nell’istesso buco, ove giorni prima aveva colpito altra palla di cannone. Ed il peggio fu che la moglie del detto di Barca si ritrovava in casa: e per il timore per più ore restò senza sentimenti semiviva.

 

20 marzo 1719

Due disertori annunciano il ritiro delle truppe spagnole richiamate a Messina. Ma la notizia sembra tutt’altro che fondata. Le autorità militari tacciono morti e feriti per non intimorire la popolazione  20 marzo. Vennero ben tardi due desertori dal campo spagnuolo. Affermarono così al signor generale Zumjungen, comandante tudesco, dal quale furono subìti, come a tutti publicamente, che v’era ordine espresso da quel signor generale spagnuolo di doversi tutto l’esercito, all’avviso dato dalla torre del Faro di Messina col disparo di cannoni, retirarsi in quella città, lasciandosi l’assedio di questa. Più volte simili desertori inventano molte dicerie per assecondare il genio delle persone, dalle quali sono raccolte. Non perciò tal novità molto piacque a questi cittadini, poiché non potevano più soffrire le molt’angustie ed afflizioni patite. E li rassembravano secoli gli momenti per togliersi il flagello.

La notte precedente non si puoterono numerare le scopettate disparate nelle trinciere d’ambe le parti col disparo di molti mortari di pietre, per lo spazio di tre ore continue. Che si credeva esservi battaglia generale. E non si raccontarono gli uccisi con li feriti, poiché nemeno si voleva che ciò si penetrasse dalli cittadini, per fini forse giustificati di chi governava. Onde era vuopo soggiacere in tutto come si disponeva.

 

21 marzo 1719

La chiesa del Carmine verso Sud completamente distrutta dalle artiglierie nemiche 21 marzo. In questo giorno il convento di nostra Signora del Carmine restò cossì devastato dalle palle de’ cannoni disparati dalli fortini delli Spagnuoli, oltre delle molte bombe gettate in detto convento, che tutta la chiesa andò a basso sino al suolo, non comparendo più segno né di cappelle, né d’altro, specialmente dalla parte che dona verso mezzogiorno.

 

Disertori riferiscono che le truppe spagnole sono in arretrato con le paghe Due desertori fuggiti dal campo spagnuolo, uno francese e l’altro portoghese, riferirono ritrovarsi in detto campo penuria di denaro, restando gli officiali con l’attrasso di molti mesi del loro soldo. E che difficilmente si sodisfacevano gli soldati delle loro paghe. Perloché detti officiali andavano debitori in gravi somme d’alcuni paesani, che erano sequestrati  nella Piana. E di più che si publicavano trattati di pace. E richiesti se volevano prender partito per esser soldati scielti, recusarono con aver richiesto di voler passare in Napoli.

 

Circolano in città voci contrastanti e si scommette sulla durata dell’assedio In questa città pure si vociferava che fra breve avrebbe seguito la pace e che si stavano aspettando molte truppe tudesche da Napoli in molta quantità. Perloché d’alcune persone prudenti si discorreva che se si apprestava la pace non era necessario di rimettersi in questa più truppe ed essere proposizioni discordanti rimessa di soldati e trattato di pace.

Tra gli officiali tudeschi si hanno posto molte scommesse di denari in grave somma, giuocando l’uni che per tutto aprile venturo avrebbe successo il discacciamento delli Spagnuoli di questa Piana; e gli altri che avrebbe continuato l’assedio. Si disse pure che il francese s’abbia collegato con l’Imperadore contro Spagna, con avere il primo ottantamila soldati nel Regno dell’ultimo.

 

22 marzo 1719

Muore un tenente austriaco in prossimità della chiesa di San Giacomo. Sette soldati morti nelle trincee 22 marzo. Nel piano della chiesa di San Giacomo, ove risiedeva la guardia continua di più soldati con un tenente tudesco, venne una palla di schioppo disparata dalla parte nemica. E col vento fece cadere dal capo il cappello d’un soldato che pure era di guardia. E doppo colpì al sudetto tenente nel petto con averlo ucciso di subbito.

Nelle trinciere fu eccessivo e continuo la notte precedente il fuoco delle scopettate che trapassò a più migliara. Perloché restarono uccisi sette soldati tudeschi, oltre li feriti.

Il disparo di cannoni col gettito di più mortari di bombe persistette dal mattino sino la sera, d’una parte e l’altra, conforme l’altri giorni.

 

23 marzo 1719

Un disertore. Altri due soldati austriaci uccisi nelle trincee 23 marzo. Nella notte al buio se ne fuggì dal campo spagnuolo un desertore della medema nazione. Riferì che alcuni officiali hanno inviato in Messina il loro bagaglio. Non cessò il fuoco del cannone con molte bombe. E la notte seguirono gli mortari con pietre e palle di schioppi nelle trinciere. Perloché morirono in dette trinciere due soldati tudeschi, quali si retrovavano di guardia. Ed altri restarono feriti e di ciò non s’ha dato alcun riparo.

Asino ucciso in prossimità della chiesa di S. Giacomo da una palla di cannone lanciata dal fortino di contrada Albero Seguì in questo giorno un caso da ridere, se pure  furono permesse le risa in tempi così infausti e di doghe insoffribili ripieni. Ma almeno servirà a chi l’intende per divertimento in mezzo di tante sciagure. Fu disparata una cannonata dal fortino nella contrada del Albero e la palla pervenne sino al piano nomato di San Giacomo, nel quale si retrovava Francesco di Faro, villano, sopra un balduino che aveva affittato da Domenico Bruno, a meta per caricare e condur farine per servizio delle truppe alli forni. E vedendo il villano di Faro la palla, o sentendo lo grido di essa, si getta in terra, scavalcando dall’asino. E nell’istante sudetta palla levò la testa al somaro, restando il villano illeso senz’alcun danno. Il che s’attribuisce se non a miracolo, a gran portento. Riguardandosi che il villano, riconosciuto il pericolo, si scampasse la vita colla diligenza di non inciampare che la palla lo danneggiasse. E s’ammirò la sua diligenza e stava guardigno che non fosse danneggiato. Che per certo se non avesse disceso con sollecitudine dal somaro nell’istante se non perdeva la vita almeno, senza dubio non restava dell’intutto illeso. E se d’una parte, reflettendosi il caso, sembrò a tutti generalmente un portento. Infine si disse che s’ascriveva a sua gran fortuna. Onde fu costretto il villano primariamente togliere dal luoco publico l’asino morto. E doppo condur sopra le spalle e la soma della bestia assieme colla barda. Il che, intenso dal Bruno, padrone del bardoino col seguito, comparì a giudizio per esserli sodisfatto l’asino col motivo d’averli affittata la bestiola solamente per condur farine. Ma sudetto di Faro fu condannato a sodisfar lo prezzo di detto asino, poiché trasgredì la commissione di poter portare solamente farine per le truppe. Con tutto che esso di Faro avesse addotto per sua ragione che quel viaggio che fece, allorché successe la disgrazia, fu fatto forzatamente e con violenza, non volendo egli andare. E pure fu condannato a pagare sudetto balduino.

 

Giungono viveri via mare da Napoli e dalla Calabria. Previsto l’arrivo di truppe austriache Comparvero nel Capo sul mare molte imbarcazioni, così di tartane come di felughe, che venivano da Napoli e Calabria ed approdarono in detto Capo, conducendo quantità di viveri di bocca e provisioni di guerra con che si rifocillava qualche puoco la città, che era dell’intutto affamata. Con tutto che si comprasse il tutto a prezzi molto alterati, più del triplicato, anzi più di quello, che pria della guerra si valutavano detti comestibili.

Venne inoltre la barca della Posta. Si riferì che si stanno in appronto molte truppe tudesche e, fra breve, si tragietteranno in questa città.

Pure da lontano apparirono molte altre imbarcazioni. Si presuppose che fossero state navi del comboglio che si stava attendendo: si vedrà se realmente approderanno in questo Capo.

La malattia del marchese d’Andorno Nel medemo giorno fu chiamato un fisico [medico, ndr] spagnolo dal campo per guarire il signor Marchese d’Andorno, generale savoiardo che stava gravemente infermo da giorni sei innanzi. Avendo venuto sudetto medico per mare incontrato d’una barca inviata da questa.

Bomba distrugge la scalinata della chiesa di S. Gaetano al Borgo Inoltre la città restò nella magior parte destrutta per la quantità di palle di cannoni disparati e di quantità di granati reali e di bombe gettate da tutti gli fortini delli Spagnuoli, rendendosi la pariglia al campo spagnuolo e suoi fortini dalli nostri bastioni. E tra l’altre bombe nella parte superiore, oltre quelle nella parte inferiore, una pervenne innanzi la chiesa di Santa Maria la Catena, con avere fracassato tutta la scalorata della porta maggiore. E benché s’avesse in pezzi redotta, nondimeno s’alzarono questi in aria e per miracolo non seguì danno alcuno, con tutto che fossero molte persone presenti.

Palle di cannone danneggiano case che ospitano militari austriaci Una palla di cannone dagli fortini del nemico entrò in casa del signor Don Costantino D’Amico, posta sotto il convento di San Francesco di Paula, perforando più mura col fracasso di casse e bagulli [bauli, ndr]. Un’altra in casa del signor Pietro Guerrera, posta sopra la chiesa di Santa Caterina, col fracasso di fenestre e porte. E benché fossero state ambe abitate da molti soldati tudeschi ed officiali, non seguì danno alcuno. E la notte, poscia, continuò il fuoco d’una parte e l’altra dalli mortari di pietre e di scopettate nelle trinciere, avendo rimasto delli nostri soldati tudeschi uccisi cinque soldati e molt’altri feriti.

 

24 marzo 1719

Corteo funebre del generale del reggimento Bayreuth Johann Christoph Ernst Gravenreuth (22.05.1674  -24.03.1719) 24 marzo. La notte scorsa passò da questa all’altra vita il signor generale Giosauteith, tudesco del regimento di Paraith, doppo aver patito una lunghissima infermità. Ed in questo giorno si seppellì nella chiesa de’ Padri Domenicani con molta pompa, associando il fratello capitano il cadavere del defonto susseguentemente doppo la bara ed in appresso il signor generale Zumijunghen e molti e molti officiali tudeschi. E pure il comandante signor Missegla con altri officiali savoiardi e piemontesi, a modo di processione, a due a due, tutti con torcie accese sino dentro la chiesa, assistendo alle preci funerali de’ Padri, con ritrovarsi molte truppe del regimento del defonto squadronate col triplicato disparo di schioppi. E di più si disparavano per tre volte tutte l’artiglierie della città.

Muore il marchese d’Andorno Pure in detto giorno rese l’anima a Dio il sudetto signor marchese Andorno, generale di Piemonte, impensatamente. E poiché avendo stato a letto per lo spazio di giorni sette con febre molto lenta, giudicandosi non esser il morbo di molta considerazione, anzi asserendo lui medemo sentirsi molto respirato dall’infermità, a mezzogiorno fu assaltato d’uno parosismo. E mentre si giudicava questo continuare, come gli altri avuti li giorni antecedenti, fra lo spazio meno d’ora una lo condusse alla morte. Per certo che tal accidente recò molt’afflizione e cordoglio, nonché agli offiziali suoi nazionali e tudeschi, a tutti gli cittadini, per aversi deportato da cavaliero non solo intrepido e guerriero, pure molto affabile e piacevole con tutti.

Fuga - finita male - di un disertore dalle trincee spagnole Sul Vespro si osservò da molti cittadini (li quali giornalmente si retrovavano sopra il Monte a parte remota per vedere gli deportamenti del campo spagnuolo) che un povero soldato velocemente uscì dalle trinciere nemiche, procurando fuggirsene in questa città. E per sua disgrazia fu discoperto nel traggitto, perloché fu assaltato con molta quantità di scopettate dalle trinciere. E benché dalle nostre si facesse il consimile per invigorire al soldato nella corsa, con tutto ciò restò ferito il povero soldato in mezzo le trinciere senza poter dare più passi. Anzi cadette nel suolo e così sino la sera ben tardi si vidde che restò giacente in terra. Senz’aver azzardato né gli soldati di questa parte, né gli altri del campo nemico, di prenderlo. Si credette aver morto o essere spirante. E che nella notte gli Spagnuoli se l’avessero retirato.

Bombe dentro la cittadella fortificata. Pericolo nel bastione di S. Maria Vi furono, conforme al solito, molte cannonate in città disparate dalli Spagnuoli col gettito di più bombe, facendosi l’istesso dalli nostri fortini contro gli nemici. Tra l’altre bombe, due andarono sin dentro la Cittadella ed una nel bastione di Santa Maria. Tutte crepate e non danneggiarono persona alcuna, con tutto che su detto bastione s’avessero retrovato molti soldati di guardia, tutti li cannonieri ed alcuni paesani e napoletani che si conferivano sopra detto bastione per osservar con più faciltà e meno spavento della loro vita ed il campo spagnuolo e le loro azzioni, apparendo distintamente il tutto per l’altezza del luogo. Nella parte inferiore della città furono quasi innumerabili, devastandosi più e più case. Al che più non si badava, attendendosi sol alla conservazione della sua vita d’ogni cittadino. La notte, poscia, nemeno si puotè aver alcun atomo di tempo colla quiete, poiché fu così continuo e fervente il disparo di schioppi nelle trinciere, col gettito di molti mortari di pietre, che stordirono tutti, credendosi che non avesse seguito con tal impegno alcuna invasione. E venne notizia che solamente due restarono morti in dette trinciere in detta notte, un caporale ed un soldato tudesco. Altri due stroppiati nelle gambe e molti feriti.

 

25 marzo 1719

Disertori e strategie matrimoniali: si dice che il figlio del re di Spagna sposi la figlia del re di Svezia 25 marzo. Vennero dal campo spagnuolo tre desertori. Riferirono che s’abbia inviato nella città di Messina la magior parte del bagaglio delli officiali, diverse provisioni di guerra e molti cannoni per essere sfoconati e di nessun servizio. Si sparse voce che il Re di Spagna, per aver aiuto in questa guerra, abbia collocato in matrimonio il Duca [segue lacuna nella copia, ndr], suo figlio, colla figlia del Re di Svezia.

Funerale di Ghirone Silla, marchese d’Andorno, seppellito nel Duomo antico con tanto di lapide Si condusse al sepolcro il cadavere del generale marchese d’Andorno nella Matrice chiesa, posta nella Cittadella, nella quale sempre commorò da che venne in questa. Si fece l’essequie con molta pompa. Primariamente si squadronarono tutte le truppe savoiarde e piemontesi nel piano di detta Matrice, guidate dall’officiali della loro nazione. E condotto il cadavere del defonto, era associato immediatamente presso la bara dal signor generale Zumiunghen, comandante tudesco, e da Monsignor Missegla, comandante della Piazza. Come pure dal signor generale Vianzani con altri officiali di detta nazione, conducendo tutti torcie accese, a due a due. Ed interpellatamente seguì il triplicato disparo di tutte l’artegliarie, così di detta Cittadella, come di tutti gli fortini, col quatriplicato disparo degli schioppi da dette truppe. Inoltre, detto cadavere fu associato da tutto il Clero, con lumi in mano. Per certo che fu con molta pompa il funerale, avendosi sepelito il cadavere in mezzo d’essa Matrice. Con aversi fatto la lapide di pietra di Siragusa per l’intercetto, non essendovi meglior pietra, volendo gli suoi nazionali che doppo si facesse marmorea.

Bomba distrugge la casa del maestro Pietro Buccafusca Crepò, tra l’altre bombe disparate in città, una in casa di mastro Pietro Buccafusca, ove aveva seguito altra consimile alcuni giorni adietro. E ritrovandosi nella casa sudetta solamente una sua figlia nomata Grazia, per avere crepato detta bomba rovinossi dell’intutto la casa e la povera figliola restò sepolta sotto le pietre e canali e legni. E fu miracolo evidente che non avesse perito sotto la fabrica.

La sua fortuna fu che la detta di Buccafusca si retrovava in piedi innanzi un armaro di notaro Francesco di Jaci, repostato in detta casa. E nel precipitarsi detto stipo, per esservi stata di sotto una sedia, non potè dell’intutto esso andar a terra, trattenuto da detta sedia. Sotto il quale cadetta essa figliuola e li servì di riparo per non restar uccisa sotto le pietre. E con tutto ciò la medema molto patì per aver rimasta tutta lacera e maltrattata. Oltre lo spavento che ebbe per tutto il tempo che si vedeva giacente sotto le mura.

Imbarcazioni in partenza per la Calabria allo scopo di rifornire Milazzo La notte trascorsa partì da questo Capo un comboglio di più imbarcazioni per la Calabria, ad effetto di condursi fra breve viveri e provisioni di guerra per sostento di questa povera città, per non restar la Piazza sprovista di tutto quello era necessario.

Morti e feriti nelle trincee La medema notte sin all’alba fu continuo il fuoco della moschetteria nelle trinciere, d’una parte e l’altra, assieme con il disparo di molti mortari con pietre. Ed inoltre vennero in questa città molti soldati feriti gravemente e semivivi, alcuni de’ quali per la strada morirono. Con aver restato in dette trinciere altri sei soldati uccisi, quali non comparsero in città, poiché nell’istesso instante si sepellirono - o realmente dell’intutto morti o spiranti - vicino le dette trinciere nella sabbia, siccome sempre s’osservò dal principio di detto assedio sin al fine.

Giungono via mare armi e munizioni dalla Campania Da Napoli vennero in questo Capo venti tartane, con aver condotto cinque cannoni ben grossi da battere ed un mortaro di bombe, al numero [queste ultime, ndr] di cinquemila. E da detto Capo si condussero nascostamente nella Marina, ripostandosi e con asserirsi che dovessero adoprarsi allorché si dovea andar in Messina per batterla [per attaccare Messina, ndr].

 

26 marzo 1719

Tentativo di avvicinamento a due imbarcazioni partite dalla Piana in direzione Palermo 26 marzo. Vennero in detto Capo nel medemo giorno due galere ben corredate (con avere scortato alcune tartane e felughe cariche di molte provisioni di viveri per le truppe tudesche) dalla Calabria. E le dette due galere, approdate le dette tartane e felughe, di subito si partirono per riconoscere alcune tartane, le quali avevano partito dalla ripa ove dominavano gli Spagnuoli, viaggiando verso Palermo. Ma avendo le tartane nemiche il vento favorevole, in nessun modo essere gionte. Perloché le galere di nuovo si retirarono in detto Capo [nota nel manoscritto: sin qui è stato copiato. Siegue l’originale al numero 13 sin al fine. Il manoscritto è infatti diviso in diversi gruppetti di pagine tra loro rilegati e numerati ad uno ad uno nella copertina di ciascun gruppetto, ndr].

Il sequestro del carico (perlopiù tabacco spagnolo) di un’imbarcazione francese, partita da Livorno, al comando di capitan Claudio Costa, il cui equipaggio - imprigionato - fu difeso in giudizio dall’autore del presente manoscritto In detto giorno comparì vicino al Porto una tartana francese. Ed essendo sopra il Capo, fu chiamato il padrone nomato Padron Claudio Costa per venir all’obedienza d’una barca ben armata con quantità di soldati. E benché la tartana s’avesse potuto defendere, per esser pure visionata con quantità d’arme, nondimeno si rimese. E detto capitano di Costa unitamente cogli altri marinari e con Sebastiano Blandi da Livorno, [quest’ultimo] sopracarico di tutta la mercantia consistente in tabbacchi di Spagna et altri. Venuti all’obedienza innanzi al Generale Zumjungen, comandante tudesco, e da esso subito furono posti in carcere dentro una stanza dentro il convento di San Domenico, ove si tratteneva sudetto generale Zumjunghen. Con aversi trasportato non solo tutta la mercanzia in esso convento, pure li fu tolto tutto il denaro che in detta tartana si retrovava.

E con tutto che s’avesse da loro [fatta] instanza memoriale da me formata, rappresentandosi esser essi neutrali e non aver partecipio alcuno, né dependenza nella sudetta guerra, ciò nonostante non furono le loro petizioni intese. Anzi, avendosi posto in giudizio la loro causa, da nuovo sentiti distintamente così il capitano, come gli marinari col sovracarico, si decise sopra elogio fatto dal signor Don Gugliemo Colonna, Auditore di Guerra in causa eletto, che tutta la mercadanzia fosse stata in pena, col motivo che furono retrovati due passaporti fatti in Malta - quando peraltro erano in stampa – [con] cancellato “Livorno” e scritto “Malta”, sotto giornata specifica. Anzi, presi alcuni marinari della medema tartana, deposero non avere mai stato in Malta. Come pure per aver confessato sudetto padrone e detto sopracarico che intanto s’aveva accommodato il passaporto solo per risparmio di dogana e che da mesi sette adietro avevano fatto la partenza da Livorno, aver approdato in Trapani, ove vendettero porzione del tabbacco. Doppo seguì l’istesso nella città di Palermo. E da esso partiti, passarono in Messina, da dove fecero partenza giorni adietro. E per il tempo, retornarono in essa. Ed il giorno scorso fecero di nuovo la partenza. Et in detto giorno vennero in questo Porto, pretendendo retornare in Livorno, conducendo da Messina molte lettere dirette al medemo signor generale Zumjungen, signor generale Veterani, savojardo [in verità il Veterani era al servizio delle truppe imperiali e non piemontesi, ndr], ed altri per Napoli. E finalmente, col suvracarico e marinari, furono rimessi in Napoli a quell’eccellentissimo signor Viceré, al quale s’espresse ogni cosa sopra il seguito, colla rimessa dello processo già sentenziato. E benché da quel viceregnante s’avesse doppo risposto che si restituisse tutta la robba, nonostante la determinazione del Colonna - Auditore - fatta, nondimeno non si effettuò la consegna, restando sequestrata sin ad altro ordine. Il più peggio fu che la magior parte della mercanzia, consistente in tabbacco di Spagna e di altre maniere, da ognuno generalmente fu assaggiata. E così fra breve si disperse tra tanti e tanti offiziali.

Scarcerazione improvvisa del contadino Domenico Maiorana Pure in questo giorno, senz’alcuna aspettazione, fu scarcerato da questo Regio Castello quel villano nomato Domenico Majorana, quale aveva in questa col Padre Iaci, domenicano, dal campo spagnuolo sotto li 18 febraro scorso.

Cessano di sparare i cannoni del bastione di S. Maria Dalla notte non s’hanno più disparati gli cannoni che si retrovavano nel bastione di Santa Maria, nella Cittadinella, d’ordine del signor generale Zumjunghen, comandante tudesco, senza penetrarsi la cagione. Si diceva o per esser tutti sfoconati o per aversi conosciuto che non più danneggiavano il campo spagnuolo, siccome da più disertori da quel campo s’aveva riferito. Almeno si retrovava nelli cittadini questo picciolo sollievo che non erano più storditi col rimbombo veemente del disparo de’ cannoni. Per certo era insoffribile il rumore per aversi aperto più case, aprendosi molte mura. Non cessando, bensì, alcune gisterne intiere, specialmente tutte quelle che si retrovavano dalla parte di sotto e nel Borgo, non retrovandosi alcun canale sopra delle case. Il non dispararsi li cannoni sudetti, essendo di libre sessanta per ognuno, seguì per più giorni, come in appresso s’espresserà.

Continua l’azione degli altri cannoni collocati nei vari forti del centro urbano Con tutto che s’abbia suvraseduto al disparo di detti cannoni nella Cittadella, non perciò ha cessato il fuoco dell’altri cannoni nelli fortini in San Rocco e San Francesco di Paola e nell’altri, così nel Quartiero nomato de’ Spagnuoli, nella Marina vicino il convento del Carmine, come in quelli delle Porte di Milazzo [Messina, errore nel manoscritto, ndr] e di Palermo ed in altri. Continuando pure il gettito delle bombe ed il disparo di mortari di pietre nelle trinciere dei Spagnuoli, così di giorno come di notte. Il consimile si frequenta dalli Spagnuoli contro questa città. Anzi, la notte nelle trinciere non cessa il disparo di migliara di scopettate, con dispararsi molte bombe di pietre. Ed in questo giorno furono uccisi tre soldati tudeschi, alli quali si fecero le cappelle nella sabbia. E molti restarono feriti e stroppiati.

 

27 marzo 1719

Una bomba attraversa la Porta del Capo 27 marzo. Oltre il disparo de’ cannoni e del continuo fuoco d’una parte e l’altra, col gettito di bombe, avendosi dirupato più mura di case. Una di esse trapassò la Porta del Capo, un’altra pervenne sin al piano della Matrice nella Cittadella, altra vicino il convento de’ Padri Cappuccini, altra nel quartiero del Giardinello, luoghi molto distanti. Ed altre in altri quartieri. Ma per aversi disparato con molta elevazione per più correre, la maggior parte di esse crepava nell’aria. E così non seguiva molto danno né alle persone, né alle fabriche. Solo cascavano alcuni pezzi di dette bombe tra le persone. Ed alle volte seguiva alcun danno di feriti.

 

28 marzo 1719

Cinque disertori giungono dal campo spagnolo fornendo versioni non sempre concordi 28 marzo. Vennero in questo giorno, su l’alba, cinque desertori dal campo. Raccontarono molte dicerie. Il che si comproba per essere stato il loro ragaglio diverso tra essi. Affermarono bensì concordi che nel campo non si pativa di viveri, retrovarsi da 18 mila soldati scielti ed armiggeri, come pure esistevano molti soldati infermi. Ed inoltre che non passava giorno che non desertavano molti soldati tudeschi da questa, ricovrandosi in quel campo.

Consiglio serale tra generali austro-piemontesi dopo una serie di sopralluoghi mattutini Il generale Zumjungen, comandante tudesco, ben mattino uscì dalla città col seguito di molt’altri generali ed officiali tudeschi, ne’ quali sempre esistette il comandante Missegla. Con aver tutti circondato gli posti così in città e nella Cittadella, come fuori di essa. Tanto che venne a pranzare passato Vespro. E la sera si tenne consulta fra loro nel convento di San Domenico, nella stanza del sudetto signor generale Zumjungen, coll’assistenza di molti e molti generali e tudeschi e di Piemonte e savoiardi. Affermandosi da molti che s’avesse discorso sopra gli affari del Regno per il dominio supremo di esso. Il che si comprobò il giorno susseguente, come si dichiarerà.

Morti e feriti nelle trincee: soldati seppelliti in prossimità delle stesse Il fuoco di cannoni e di bombe non cessò tra l’uno e l’altro esercito, facendo sentire da tutti gli bastioni e fortini, non rallentandosi, ancorché minimo spazio di tempo. E la notte fu molto continuo il disparo di scopettate nelle trinciere, disparandosi più e più mortari di pietre. E restavano uccisi un tenente, cinque soldati tudeschi. E molti feriti. E portato il tenente in città per curarsi, non avendo morto di subito, fra poche ore morì. E li soldati seppelliti nell’arena al solito.

 

29 marzo 1719

Un tenente colonnello piemontese giunge dalla Sardegna per annunciare alle proprie truppe l’abbandono del Regno di Sicilia, trasferito all’imperatore Carlo VI 29 marzo. La notte scorsa passò in questa città il signor tenente coronello del regimento di Savoja monsignor di Claramont, venuto dall’isola di Sardegna. Portava lettere al signor marchese d’Andorno, generale dell’istessa nazione, con ordine espresso di quel re che si conferisse di subito in Turino. Si disse che le truppe di Piemonte e Savoja che si ritrovavano in questa, venendo il comboglio tudesco, dovessero tutte passare in Siragosa, ove, unendosi coll’altre, insieme partissero per Trapani. E raccolti tutti, conferirsi nella Sardegna, renunciando il Regno alla Cesarea e Cattolica Maestà di Carlo Sesto Imperadore. Giaché si retrovava tutta l’isola circondata dalle navi inglesi. Il che recò molt’afflizione alle sudette truppe, poiché resiedevano nel Regno con ogni loro sodisfazione, con tutto che molto avessero sofferto nella guerra che persisteva. Anzi, borbottavano cogli paesani che meglio s’intendevano sodisfatti col governo tudesco che di Savoja, onde era necessario il tacere per non darle motivo di maggiori imprecazioni.

Il fuoco fu continuo col disparo di cannoni e bombe, dal mattino sin la sera. Così da questa come dalli Spagnuoli. E la notte non cessavano le scopettate nelle trinciere, col gettito di molte pietre. E non si palesò se avessero restato offese le nostre truppe in dette trinciere.