Capitolo IX
(trascrizione a
cura di Giovanni Lo Presti, Salvatore Salmeri e Massimo Tricamo)
Disertori riferiscono che, a causa della penuria di
denaro, sono stati richiesti prestiti ai cittadini per il sostentamento delle
truppe spagnole
Si disse d’alcuni desertori venuti in questa dal campo nemico spagnuolo, al
numero di sei, che, per retrovarsi nel sudetto campo molta scarsezza di denari,
si abbia richiesto alli paesani somma di denari per sussidio delle truppe. Il
che si confermò da molti nella città. Come pure in più giorni hanno venuto nel
campo spagnuolo diverse imbarcazioni con molte provisioni di guerra e di
viveri.
Il nuovo forte eretto dagli Spagnoli in contrada
Albero continua a danneggiare la città, in particolare il convento dei
Carmelitani, la cui chiesa (per la vicinanza ad un forte austro-piemontese) viene
distrutta. Il
bastione nuovamente fabricato dalli Spagnuoli nella contrada dell’Albero ha
continuato il disparo di molti cannoni contro la città. Perloché s’ha dirupato
il restante delle case. Dicevano gli officiali tudeschi che detto forte fosse
stato malamente costrutto e che con difficoltà avesse potuto far danno notabile
alla città. Ma il contrario si conobbe, stante che apertamente s’osservò che
tutta la parte inferiore di essa città, specialmente il convento de Padri
Carmelitani, sia stata tutta fracassata sino al suolo. Tanto più che vicino
detto convento, nella ripa del mare, fu fatto un fortino da questo signor
comandante tudesco, con aversi posto cannoni per tirare alli Spagnuoli. Onde
sudetto convento, particolarmente la Venerabile chiesa di esso, dell’intutto fu
dirupato sin a terra, con essere stata [la chiesa] abbandonata. Ed alcuna messa
si celebrava giornalmente dalli
reverendi Padri - si diceva - in
una stanza vicino la porteria, remota dal campo nemico.
S’osservò da
questa città che gli Spagnuoli abbiano retirato dalli loro fortini più pezzi di
cannoni. Si giudicò o aversi rotto, o sfoconato, o pure per conoscere non
esserli profittevoli.
14 marzo 1719
Continua la diserzione di soldati d’ambo le parti 14 marzo. La
notte passata un soldato granatiero del regimento di Salluzio di Piemonte se ne
fuggì nel campo Spagnuolo. Il che ha seguito continuamente da molt’altri
soldati, così tudeschi, come savoiardi e di Piemonte. E del principio della
guerra sino al fine. E siccome s’ha raccontato esserci stato alcuni desertori
dal campo spagnuolo, con aver passato in città, bensì distintamente non siano
stati tutti col numero prefisso, altretanto ha seguito dalli nostri nel nostro
campo nemico.
Nella medema
notte vennero tre desertori in città, uno tudesco, qual era stato prigioniero fatto in Sardegna, e due
Spagnuoli, l’uno di Aragona, granatiero del regimento di Savoia, quale venne
per terra, e l’altro granatino, quale passò a nuoto per mare ignudo senza
nemeno calsoni. Tutti e tre non dissero cosa alcuna di considerazione, oltreché,
per essere nelle loro relazioni discordi, non si puotè dar credito alcuno.
Nonostante le ostilità, inviati dal campo spagnolo doni al generale
Zumjungen Con tutto che in questo giorno non s’avesse mai cessato il disparo
delli cannoni col gettito delle bombe continuamente - e la notte col fuoco di
più migliara di scopettate nelle trinciere, nelle quali si disparavano molti
mortari con pietre - non perciò tra gli comandanti d’un esercito e l’altro non
passavano gli atti civili e di complimento. Siccome nel medemo giorno dal campo
spagnuolo furono rimessi al signor generale Zumjungen, comandante tudesco, un
mazzo di carte di giuoco, uno stipo di vino [e] un cappello finissimo con
molt’altre galanterie.
15 marzo 1719
Giunge al Capo, a bordo d’una feluca proveniente da
Reggio e dopo lunga detenzione, Don Guglielmo Colonna, il quale, grazie al
comandante Missegla, ottiene incarichi dallo Zumjungen A 15 marzo. Non prima di questa notte
approdò in questo Capo una feluga venuta da Reggio, nella quale si retrovava il
signor Don Guglielmo Colonna di questa, inviato dalli Spagnuoli della città di
Messina per aver ottenuto il cambio come uno de’ prigionieri di guerra, doppo
tanti mesi di carcerazione come di sopra s’ha espressato. Anzi, il medemo
conseguì il soldo di scudi quindeci il mese, non solamente in avvenire, pure
dal primo giorno che restò prigioniero nel Faro di Messina, allorché passava in
Reggio inviato da questo signor Governadore Missegla, pria che avessero passato
nel Regno gli Inglesi e le truppe tudesche.
Il sudetto di
Colonna, per essere stato persona molto perspicace ed intelligente, col mezzo
del detto signor di Missegla, comandante della Piazza, fu introdotto al signor
generale Zumjungen, tedesco. Tanto che tutte le consulte così spettanti
all’esercizio militare, come in altre cause, erano riconosciute dal medemo di
Colonna come consultore. Onde al sommo prevaleva. Del che principiarono le sue
fortune cogli avantaggi che in appresso a minuto si descriveranno.
Inizia a cannoneggiare e bombardare il fortino
appena costruito alle spalle del convento del Carmine, nel lungomare Da più giorni
antecedenti s’avea principiato dalli comandanti in questa città un fortino
dietro il convento del Carmine, per la parte della Marina. Ed in questo giorno,
per essere stato dall’intutto finito (bensì con un grandissimo danno delli
soldati per essere in parte discoperto dal cannone de’ nemici, come pure del
medemo convento per le molte cannonate degli Spagnuoli disparate per non perfezionarsi
[tale forte in costruzione, ndr]),
ciò nonostante, principiò il fuoco di tre cannoni in detto fortino, accomodati
contro quei di essi Spagnuoli, col disparo di bombe pure nel medemo fortino
poste.
16 marzo 1719
I Milazzesi vigilano sulle proprie case per evitare
furti o invasioni da parte del nemico A 16 marzo. Se dalli signori comandanti
militari in città s’attendeva con esquisita circospezione al servizio reale ed
alla defensione di essa, con mettersi le guardie necessarije per quello che dal
nemico spagnuolo s’avesse potuto tentare, altretanto da quei pochi cittadini
rimasti in città s’invigilava con tutta accuratezza a far le sentinelle nelle
loro proprie case: non solo per sapersi quello l’avrebbe forse successo,
specialmente in nottetempo, o per non seguire alcun furto in dette loro case o
alcuna invasione repentina dagli nemici, ed inoltre per non succedere alcun
disparo di qualche bomba o palla di cannone. E così si faceva la sentinella,
almeno dietro a tutti quei che unitamente abitavano in dette case, benché tutti
per necessità erano forzati di star molto vigilanti tanto per il disparo di
cannoni con bombe che di continuo seguiva, come inoltre per le reiterate
scopettate nelle trinciere seguite, che appareva aversi in ogni istante
attaccato battaglia generale. Oltreché tutta la notte si faceva trasporto e di
cannoni e di casse d’artegliarie ed altri ordigni di guerra da detto Capo sino
agli ultimi confini della città vicini alli Spagnuoli, caminando le truppe in ogni
notte per il trasporto sudetto, non potendosi far di giorno per non essere
discoperti dal nemico. E così si può reflettere con qual quiete si poteva dagli
poveri cittadini serrare gli occhi? E
ciò seguì dal principio sin al fine della guerra.
Crolla casa abitata da una famiglia austriaca: muore
una bimba
Anzi, la notte precedente, conducendosi da più centinara di soldati due cannoni
da detto Capo nel Quartiero nomato delli Spagnuoli, con le casse ed altri
ordegni militari, domentre si retrovavano nel piano del convento de’ Padri
Domenicani, si precipitò dell’intutto una casa un puoco distante nomata di
Matalone, nella quale commorava una
famiglia tudesca. Quale per miracolo sfuggito l’eccidio, restando ferita
solamente. In mezzo della fabrica dirupata, sepolta nelle pietre, restò uccisa
una figliolina tudesca. Insomma, fu così veemente lo spavento delli vicini,
tanto per il mormorio delle truppe, come per le grida e lamenti di quei che
commoravano in detta casa. Col pianto inesorabile della madre di quella
poveretta uccisa figliuola, dovendo disotterrarla dalla fabrica ruvinata, ed
inoltre in aver cura della robba, quale pure nella magior parte li fu derubbata
dalli soldati, ancorché fossero dell’istessa nazione. Fu un caso così
lagrimevole, che si deve attribuire a gran portento che molti non avessero
persa la vita in così funesto caso.
Duello tra il conte Roas e Don Antonino Chaves de
Tappia al di fuori della Porta del Capo. Grazie all’intervento dei militari non
ebbe poi luogo Seguì
pure una disfida tra il signor conte Roas, capitano piemontese del regimento
de’ Focilieri, ed il signor Don Antonino Chaves de Tappia, gentiluomo di questa
città, per causa che suddetto conte avea dato somma di denari al detto di
Chaves Tappia per comprar robba comestibile, affinché si facesse alcun lucro
tra essi, come infatti s’adoprò il Tappia con ogni attività a tal servizio.
Infine, avuti fra loro contratti sopra il lucro (come si publicò), o per altra
cagione, si devenne al duello, quale si concertò farsi fora la Porta del Capo
per battersi. Ma, discovertosi dagli officiali il conflitto da farsi, non seguì
l’attacco ed il duello. Anzi, interposti alcuni amici, si pacificarono. Bensì
restando al conte alcun sinderesi per le relazioni avute dal Tappia sopra il suo
negoziato e lucro fatto e conseguito.
Diserzione di un fuciliere piemontese dalle trincee
spagnole. Imprigionato a Messina nel Castello di Matagrifone, s’era poi
arruolato nel reggimento delle Guardie Valloni per poi rientrare nei Fucilieri
sabaudi
Desertò dal campo spagnuolo un soldato piemontese fociliero, il quale da più
tempo era stato prigioniero nella perdita del Castello di Mattagriffone nella
città di Messina. E benché doppo avesse passato nelli Spagnuoli nel regimento
de’ Valloni, la notte passata nel far dell’alba, avuta la commodità mentre si
retrovava di guardia nelle trinciere, se ne passò furtivamente in questa città,
retornando nella sua propria compagnia che si retrovava in questa.
Riferì che nel
campo nemico si retrovavano truppe molto scielte e fiorite, vivendosi dalli
soldati con alcuna loro soddisfazione. E che li Paesani e le genti della
Comarca s’avevano fatto commodi, lucrandosi molto nella vendita di ogni sorta
di vettovaglie, specialmente di carni, caccia minuta e selvaggina grossa. Di
più, che nel campo si governavano gli comandanti ed altri officiali subalterni verso
gli soldati con ogni dovuta regola militare. Ed essi soldati li stimavano con
ogni esquisita osservanza.
Ancora morti e feriti tra i militari per il continuo
fuoco dei cannoni. I cittadini pensano a salvare la vita piuttosto che i propri
beni La
notte scorsa si dispararono nelle trinciere più migliara di schioppi col
disparo di molti mortari di pietre. Perloché furono uccisi cinque soldati e
nove feriti. Ed alcuni di essi stroppiati.
Ed in questo
giorno fu così continuo il fuoco delli cannoni e delle bombe, d’una parte e
l’altra, che in città si stiede con grandissimo timore e spavento. E benché
molte e molte case, specialmente nelle parti inferiori d’essa città, avessero
restato o in tutto o in parte devastate, con l’assassinio [furti, ndr] che seguiva dalli soldati tudeschi in dette case, non
si badava dalli poveri cittadini più alla loro abitazione, al mobile o al
brucciato o predato, ma solo alla conservazione della propria vita. Per non
morire disgraziatamente o con palla di cannoni o con bombe, che di notte e di
giorno si gettavano dal campo nemico impensatamente contro questa povera città.
Arriva da Tropea il commissario generale delle
truppe piemontesi Ferrier La medema notte precedente in essa città venne
monsignor Ferrier, commissario generale delle truppe di Savoia e Piemonte, con
aver partito da Tropea. Ed inviato serio da quel regnante padrone, sin a quel
tempo di questo regno, per riconoscere tutta l’hasienda reale. Come infatti fra
pochi giorni spedì la sua commissione, attestando dover effettuare l’istesso
per tutto il regno. Alcuni saccenti cittadini, col loro elevato intendimento,
affermarono aver venuto tal sogetto in Sicilia per riconoscere tutti gli affari
del regno e gli introiti e gli esiti di esso. Giachè esso regno doveva esser
sotto altro dominio [avrebbe dovuto
cambiar sovrano, ndr] (come si vedevano allora li preludij). E dopo si
sperimentò effettivamente, avendo rimasto in potere della Cesarea Catolica
Maestà di Carlo Sesto Imperadore, e Terzo della monarchia di Spagna e Sicilia.
17 marzo 1719
Altri disertori spagnoli rifiutano di arruolarsi per
gli austro-piemontesi, richiedendo piuttosto di poter andare a Napoli 17 marzo. Cinque soldati Spagnuoli su l’alba in
questo giorno se ne fuggirono dal loro campo, con aver venuto in questa città.
E riconosciuti dal signor comandante Zumjungen, con farsi le solite petizioni,
altro non propalarono che in detto campo si ritrovavano truppe ben scielte e
guerriere, con ventiotto regimenti. E che si viveva splendidamente con molta
abbondanza. Questi non volsero prender partito, asserendo voler passare in
Napoli, come in breve seguì occorsa l’occasione necessaria.
Sempre di giorno
in giorno avanza il fuoco delli cannoni e bombe d’una parte e l’altra. E la
notte nelle trinciere continuano le scopettate col gettito di molte pietre, con
aver seguito la morte di tre soldati uccisi con palle di schioppi ed altri
feriti.
Il forte eretto accanto al convento dei Carmelitani
viene bersagliato dalle artiglierie dell’altro forte di contrada Albero, che
colpiscono inevitabilmente la chiesa del Carmine, sempre più diruta. Gli
austro-piemontesi non mancano tuttavia di rispondere con altro fuoco Il bastione
nella contrada dell’Albero ben mattino principiò il disparo delli suoi cannoni
con una batteria continua con questa città, specialmente servendoli di
bersaglio il forte fatto vicino il convento del Carmine nella Marina. Con aver
durato sino la sera, conquassandosi dell’intutto la venerabile chiesa di esso
convento. Bensì dal detto fortino si diede la pariglia, disparandosi li suoi
cannoni contro detto bastione nemico [e] gettandosi di una parte e l’altra
molte bombe.
18 marzo 1719
Fuga di un cannoniere francese dal campo spagnolo.
Continuano le cannonate e le bombe in città con la demolizione di molte case e
la morte di altri sei soldati austriaci. Questi ultimi seppelliti accanto alle
trincee in cui morirono 18 marzo. La
notte passata venne dal campo spagnuolo un cannoniero francese. Raccontò che
non si patisce di nulla in detto campo, né di viveri, né di provisione di
guerra. Ed essere gli Spagnuoli ben fortificati, con 28 regimenti ben guarniti.
Continuarono le
cannonate e le bombe in città col demolimento di molte case. E la notte nelle
trinciere era molto il fuoco di scopettate; e si gettarono mortari di pietre,
tanto che la mattina comparvero molti feriti. E sei
soldati tudeschi restarono uccisi
con palle di schioppo e con pietre, con aver conseguito le loro cappelle nella
sabbia vicino dette trinciere conforme al solito.
Colpito il conte piemontese Roas mentre si accinge a
recarsi nelle trincee. Viene decapitato da una palla di cannone lanciata dal
fortino spagnolo di contrada Albero Il conte Roas, piemontese, capitano del
reggimento di Focilieri, ritrovandosi all’alba con molte truppe di soldati
squadronati nel piano della chiesa di Giesù e Maria la Nuova, innanzi la casa
del signor Don Francesco Proto de Alarcon, dovendo andare di guardia nelle
trinciere con detti soldati, impensatamente fu colpito nella testa con una
palla di cannone disparata dal fortino nella contrata dell’Albero, con esserli
stato tolto tutto il capo dal busto. E dovendo suddetta palla correre nelli
soldati, li quali seguivano sudetto conte come capo, ritornò indietro al
rintuzzamento che fece nella testa del miserando conte, tanto che la
moltitudine di tante truppe restò senza danno alcuno, bensì con molto spavento.
La morte disgraziata del detto conte fu di molto sentimento ed affetto non solo
a tutti gli ufficiali di Piemonte e di Savoia, con li loro soldati nazionali,
pure alli Tudeschi, per essere stato un cavaliere di molto garbo e
cortesissimo. E per aver avuto molta nobiltà.
E l’anni scorsi,
invaghito d’una donna vedova di questa, nomata Saveria Trusiano, con una figlia
di [non nomato], olim [un tempo, ndr]
moglie di un sargento reformato spagnuolo, [per] matrimonio suo marito in tempo
che dominava il Re di Spagna questo Regno. E non pretendeva sposarla, con tutto
che avesse giaciuto con la medema e generato un figlio, parendoli molto
pregiudizievole per la sua prosapia [il
conte era già sposato, ndr]. Ma ravvisto nella coscienza privatamente
quella sposò, trattandola da moglie per non peccare. E la fece trasportare in
Catania per esser allevato, manutenendola, suo figlio. Anzi, per l’affezione
che sempre alla detta portò, l’ instituì sua erede universale doppo il commun
loro figlio. Perloché, seguita sudetta morte, dal fratello del conte ucciso si
pretendeva l’eredità. Ma - conosciuto il fatto veridico - fu escluso questi,
ottenuta la lite a suo favore e del figlio, così determinato dalli officiali
del suo reggimento. Si disse che il contante ed il mobile del conte fu in somma
considerabile.
Partenza del generale Wallis per Tropea per motivi
di salute. In realtà il suo viaggio aveva lo scopo di sollecitare le spedizioni
di viveri, armi e munizioni. La notizia della sua partenza viene accolta
favorevolmente dai Milazzesi che gli addebitavano la distruzione della maggior
parte dei quartieri della città Ben
tardi partì da questa città sopra una tartana il signor generale Vallais,
per conferirsi in Tropea. Asserì per mutar aria, avendo stato da più giorni un
puoco indisposto. Ma il principale motivo fu per sollecitare le provisioni necessarie cossì di viveri, come di
guerra, in servizio della Cesarea e Catolica Maestà. Siccome publicamente nella
città si narrava, la partenza di questo signor generale fu vista dalli paesani
con molto consuolo, avendo in opinione quasi tutti che se non avesse processo
la sua fervorosa diligenza in fortificar la città (come lui asseriva) non si
avrebbero demolite tante e tante case, per non dir quartieri intieri. Come
quello della Marina, vicino della porta di San Gennaro; altro sotto il
quartiero nominato delli Spagnuoli, sino alla chiesa di Giesu Maria; altro nel
Casale; altro nella vanella di San Giacomo; altro nominato dell’Argentieri;
altro nominato delli magazeni; altro di sotto il palazzo di Baeli; altro
nominato del Puzzo di Melazzo; ed altri ed altri, con aversi tutti demoliti col
pretesto che necessitava andar in terra per farsi campagna rasa, quando che
s’osservò che molti si dirupavano per aversi fascine e legna. Io attesto così
aver disposto Dio per le nostre colpe, giaché le cause seconde sempre ed
infallibilmente soggiacciono all’Eterno Motore. E cossì non si devono esplorare
l’azzioni di chi può ordinare se sono o favorevoli o infauste, o a nostro
benefizio o a nostro danno.
Continua il fuoco delle artiglierie: morti e feriti Non cessò in
questo giorno il fuoco delli cannoni e bombe sino la sera. E la notte nelle
trinciere il disparo di molti mortari di pietre e quantità di scopettate per
uccidersi gli poveri soldati. Come, infatti, tre di essi restarono morti con
palle di schioppi e con pietre ed altri feriti e stroppiati. Inoltre molte case
in città, specialmente nella parte inferiore, restarono fracassate e di palle e
di bombe. Ed una palla di cannone, disparata dal fortino dell’Albero, corse
sino al quartiero del Giardinello, caminando molto bassa. Tanto che s’osservava
nel corso. E ritrovandosi due soldati tudeschi, l’uno per sua fortuna scampò il
colpo e restò libero; e l’altro, non molto badando al pericolo, restò ucciso di
subito, ferito da detta palla nel petto vicino la gola e tutto fracassato.
19 marzo 1719
Tregua apparente tra i due eserciti durante il
giorno. La sera, infatti, il fuoco delle artiglierie - ad iniziare da quelle
del bastione di Santa Maria nella Cittadella - riprende più di prima, scatenando
l’inferno. I cittadini si uniscono in preghiera, temendo di perder la vita 19 marzo. Dal
mattino sino vicino Vespro s’osservò che né in questa città, né dal campo
spagnuolo, si disparò cannone alcuno. Né fu gettata alcuna bomba, apparendo
come s’avesse fatto tregua tra gli due eserciti.
Ma, doppo, fu
cossì vehemente e continuo il fuoco delli cannoni, principiato dal bastione di
Santa Maria nella Cittadella, col gettito delle bombe, che sembrò aversi
scatenato l’abisso infernale. Poiché quello che si sospese nel mattino si
raddoppiò sino la sera. Perloché tutti gli poveri abitatori, per il molto
timore e spavento di perder la vita, sembravano nonché estatici, insensati,
pallidi e semimorti. Oltreché la maggior parte non si fece vedere, nemeno nelle
strade più remote. Solamente in più luoghi s’unirono gli congionti e familiari,
raccomandandosi coll’orazioni a Dio ed alla Beatissima Vergine sua madre Maria,
cògli Santi loro devoti, affinché fossero liberati da tal flagello. Poiché
realmente ogn’uno credeva di morire.
Una palla di cannone sparata dal fortino della
Tonnara di Milazzo giunge sino al piazzale del convento di S. Domenico,
colpendo la casa dell’autore del presente manoscritto Inoltre si
vidde che una palla di cannone disparata dal fortino della Tonnara di Melazzo
corse sino al piano del convento di San Domenico e diede nella cantonera di
pietra della casa del signor Domenico Barca. E si notò che prese nell’istesso
buco, ove giorni prima aveva colpito altra palla di cannone. Ed il peggio fu che
la moglie del detto di Barca si ritrovava in casa: e per il timore per più ore
restò senza sentimenti semiviva.
20 marzo 1719
Due disertori annunciano il ritiro delle truppe
spagnole richiamate a Messina. Ma la notizia sembra tutt’altro che fondata. Le
autorità militari tacciono morti e feriti per non intimorire la popolazione 20 marzo. Vennero ben tardi due desertori dal
campo spagnuolo. Affermarono così al signor generale Zumjungen, comandante
tudesco, dal quale furono subìti, come a tutti publicamente, che v’era ordine
espresso da quel signor generale spagnuolo di doversi tutto l’esercito,
all’avviso dato dalla torre del Faro
di Messina col disparo di cannoni, retirarsi in quella città, lasciandosi
l’assedio di questa. Più volte simili desertori inventano molte dicerie per
assecondare il genio delle persone, dalle quali sono raccolte. Non perciò tal
novità molto piacque a questi cittadini, poiché non potevano più soffrire le
molt’angustie ed afflizioni patite. E li rassembravano secoli gli momenti per
togliersi il flagello.
La notte
precedente non si puoterono numerare le scopettate disparate nelle trinciere
d’ambe le parti col disparo di molti mortari di pietre, per lo spazio di tre
ore continue. Che si credeva esservi battaglia generale. E non si raccontarono
gli uccisi con li feriti, poiché nemeno si voleva che ciò si penetrasse dalli
cittadini, per fini forse giustificati di chi governava. Onde era vuopo soggiacere
in tutto come si disponeva.
21 marzo 1719
La chiesa del Carmine verso Sud completamente
distrutta dalle artiglierie nemiche 21 marzo. In questo giorno il convento
di nostra Signora del Carmine restò cossì devastato dalle palle de’ cannoni
disparati dalli fortini delli Spagnuoli, oltre delle molte bombe gettate in
detto convento, che tutta la chiesa andò a basso sino al suolo, non comparendo
più segno né di cappelle, né d’altro, specialmente dalla parte che dona verso
mezzogiorno.
Disertori
riferiscono che le truppe spagnole sono in arretrato con le paghe Due desertori
fuggiti dal campo spagnuolo, uno francese e l’altro portoghese, riferirono
ritrovarsi in detto campo penuria di denaro, restando gli officiali con
l’attrasso di molti mesi del loro soldo. E che difficilmente si sodisfacevano
gli soldati delle loro paghe. Perloché detti officiali andavano debitori in
gravi somme d’alcuni paesani, che erano sequestrati nella Piana. E di più che si publicavano
trattati di pace. E richiesti se volevano prender partito per esser soldati
scielti, recusarono con aver richiesto di voler passare in Napoli.
Circolano in
città voci contrastanti e si scommette sulla durata dell’assedio In questa città
pure si vociferava che fra breve avrebbe seguito la pace e che si stavano
aspettando molte truppe tudesche da Napoli in molta quantità. Perloché d’alcune
persone prudenti si discorreva che se si apprestava la pace non era necessario
di rimettersi in questa più truppe ed essere proposizioni discordanti rimessa
di soldati e trattato di pace.
Tra
gli officiali tudeschi si hanno posto molte scommesse di denari in grave somma,
giuocando l’uni che per tutto aprile venturo avrebbe successo il discacciamento
delli Spagnuoli di questa Piana; e gli altri che avrebbe continuato l’assedio.
Si disse pure che il francese s’abbia collegato con l’Imperadore contro Spagna,
con avere il primo ottantamila soldati nel Regno dell’ultimo.
22 marzo 1719
Muore un tenente
austriaco in prossimità della chiesa di San Giacomo. Sette soldati morti nelle trincee 22 marzo. Nel piano
della chiesa di San Giacomo, ove risiedeva la guardia continua di più soldati
con un tenente tudesco, venne una palla di schioppo disparata dalla parte
nemica. E col vento fece cadere dal capo il cappello d’un soldato che pure era
di guardia. E doppo colpì al sudetto tenente nel petto con averlo ucciso di
subbito.
Nelle
trinciere fu eccessivo e continuo la notte precedente il fuoco delle scopettate
che trapassò a più migliara. Perloché restarono uccisi sette soldati tudeschi,
oltre li feriti.
Il
disparo di cannoni col gettito di più mortari di bombe persistette dal mattino
sino la sera, d’una parte e l’altra, conforme l’altri giorni.
23 marzo 1719
Un disertore. Altri
due soldati austriaci uccisi nelle trincee 23 marzo. Nella notte al buio se
ne fuggì dal campo spagnuolo un desertore della medema nazione. Riferì che
alcuni officiali hanno inviato in Messina il loro bagaglio. Non cessò il fuoco
del cannone con molte bombe. E la notte seguirono gli mortari con pietre e
palle di schioppi nelle trinciere. Perloché morirono in dette trinciere due
soldati tudeschi, quali si retrovavano di guardia. Ed altri restarono feriti e
di ciò non s’ha dato alcun riparo.
Asino ucciso in
prossimità della chiesa di S. Giacomo da una palla di cannone lanciata dal
fortino di contrada Albero Seguì in questo giorno un caso da ridere, se
pure furono permesse le risa in tempi
così infausti e di doghe insoffribili ripieni. Ma almeno servirà a chi
l’intende per divertimento in mezzo di tante sciagure. Fu disparata una
cannonata dal fortino nella contrada del Albero e la palla pervenne sino al
piano nomato di San Giacomo, nel quale si retrovava Francesco di Faro, villano,
sopra un balduino che aveva affittato da Domenico Bruno, a meta per caricare e
condur farine per servizio delle truppe alli forni. E vedendo il villano di
Faro la palla, o sentendo lo grido di essa, si getta in terra, scavalcando
dall’asino. E nell’istante sudetta palla levò la testa al somaro, restando il
villano illeso senz’alcun danno. Il che s’attribuisce se non a miracolo, a gran
portento. Riguardandosi che il villano, riconosciuto il pericolo, si scampasse
la vita colla diligenza di non inciampare che la palla lo danneggiasse. E
s’ammirò la sua diligenza e stava guardigno che non fosse danneggiato. Che per
certo se non avesse disceso con sollecitudine dal somaro nell’istante se non
perdeva la vita almeno, senza dubio non restava dell’intutto illeso. E se d’una
parte, reflettendosi il caso, sembrò a tutti generalmente un portento. Infine
si disse che s’ascriveva a sua gran fortuna. Onde fu costretto il villano
primariamente togliere dal luoco publico l’asino morto. E doppo condur sopra le
spalle e la soma della bestia assieme colla barda. Il che, intenso dal Bruno,
padrone del bardoino col seguito, comparì a giudizio per esserli sodisfatto
l’asino col motivo d’averli affittata la bestiola solamente per condur farine.
Ma sudetto di Faro fu condannato a sodisfar lo prezzo di detto asino, poiché
trasgredì la commissione di poter portare solamente farine per le truppe. Con
tutto che esso di Faro avesse addotto per sua ragione che quel viaggio che
fece, allorché successe la disgrazia, fu fatto forzatamente e con violenza, non
volendo egli andare. E pure fu condannato a pagare sudetto balduino.
Giungono viveri via mare da Napoli e dalla Calabria.
Previsto l’arrivo di truppe austriache Comparvero nel Capo sul mare molte
imbarcazioni, così di tartane come di felughe, che venivano da Napoli e
Calabria ed approdarono in detto Capo, conducendo quantità di viveri di bocca e
provisioni di guerra con che si rifocillava qualche puoco la città, che era
dell’intutto affamata. Con tutto che si comprasse il tutto a prezzi molto
alterati, più del triplicato, anzi più di quello, che pria della guerra si
valutavano detti comestibili.
Venne inoltre la
barca della Posta. Si riferì che si stanno in appronto molte truppe tudesche e,
fra breve, si tragietteranno in questa città.
Pure da lontano
apparirono molte altre imbarcazioni. Si presuppose che fossero state navi del
comboglio che si stava attendendo: si vedrà se realmente approderanno in questo
Capo.
La malattia del marchese d’Andorno Nel medemo
giorno fu chiamato un fisico [medico,
ndr] spagnolo dal campo per guarire il signor Marchese d’Andorno, generale
savoiardo che stava gravemente infermo da giorni sei innanzi. Avendo venuto
sudetto medico per mare incontrato d’una barca inviata da questa.
Bomba distrugge la scalinata della chiesa di S.
Gaetano al Borgo
Inoltre la città restò nella magior parte destrutta per la quantità di palle di
cannoni disparati e di quantità di granati reali e di bombe gettate da tutti
gli fortini delli Spagnuoli, rendendosi la pariglia al campo spagnuolo e suoi
fortini dalli nostri bastioni. E tra l’altre bombe nella parte superiore, oltre
quelle nella parte inferiore, una pervenne innanzi la chiesa di Santa Maria la
Catena, con avere fracassato tutta la scalorata della porta maggiore. E benché
s’avesse in pezzi redotta, nondimeno s’alzarono questi in aria e per miracolo
non seguì danno alcuno, con tutto che fossero molte persone presenti.
Palle di cannone danneggiano case che ospitano
militari austriaci
Una palla di cannone dagli fortini del nemico entrò in casa del signor Don
Costantino D’Amico, posta sotto il convento di San Francesco di Paula, perforando
più mura col fracasso di casse e bagulli [bauli,
ndr]. Un’altra in casa del signor Pietro Guerrera, posta sopra la chiesa di
Santa Caterina, col fracasso di fenestre e porte. E benché fossero state ambe
abitate da molti soldati tudeschi ed officiali, non seguì danno alcuno. E la
notte, poscia, continuò il fuoco d’una parte e l’altra dalli mortari di pietre
e di scopettate nelle trinciere, avendo rimasto delli nostri soldati tudeschi
uccisi cinque soldati e molt’altri feriti.
24 marzo 1719
Corteo funebre del generale del reggimento Bayreuth Johann Christoph Ernst
Gravenreuth (22.05.1674 -24.03.1719) 24 marzo. La
notte scorsa passò da questa all’altra vita il signor generale Giosauteith,
tudesco del regimento di Paraith, doppo aver patito una lunghissima infermità.
Ed in questo giorno si seppellì nella chiesa de’ Padri Domenicani con molta
pompa, associando il fratello capitano il cadavere del defonto susseguentemente
doppo la bara ed in appresso il signor generale Zumijunghen e molti e molti
officiali tudeschi. E pure il comandante signor Missegla con altri officiali
savoiardi e piemontesi, a modo di processione, a due a due, tutti con torcie
accese sino dentro la chiesa, assistendo alle preci funerali de’ Padri, con
ritrovarsi molte truppe del regimento del defonto squadronate col triplicato
disparo di schioppi. E di più si disparavano per tre volte tutte l’artiglierie
della città.
Muore il marchese d’Andorno Pure in detto
giorno rese l’anima a Dio il sudetto signor marchese Andorno, generale di
Piemonte, impensatamente. E poiché avendo stato a letto per lo spazio di giorni
sette con febre molto lenta, giudicandosi non esser il morbo di molta
considerazione, anzi asserendo lui medemo sentirsi molto respirato
dall’infermità, a mezzogiorno fu assaltato d’uno parosismo. E mentre si
giudicava questo continuare, come gli altri avuti li giorni antecedenti, fra lo
spazio meno d’ora una lo condusse alla morte. Per certo che tal accidente recò
molt’afflizione e cordoglio, nonché agli offiziali suoi nazionali e tudeschi, a
tutti gli cittadini, per aversi deportato da cavaliero non solo intrepido e
guerriero, pure molto affabile e piacevole con tutti.
Fuga - finita male - di un disertore dalle trincee spagnole
Sul
Vespro si osservò da molti cittadini (li quali giornalmente si retrovavano
sopra il Monte a parte remota per vedere gli deportamenti del campo spagnuolo)
che un povero soldato velocemente uscì dalle trinciere nemiche, procurando
fuggirsene in questa città. E per sua disgrazia fu discoperto nel traggitto,
perloché fu assaltato con molta quantità di scopettate dalle trinciere. E
benché dalle nostre si facesse il consimile per invigorire al soldato nella
corsa, con tutto ciò restò ferito il povero soldato in mezzo le trinciere senza
poter dare più passi. Anzi cadette nel suolo e così sino la sera ben tardi si
vidde che restò giacente in terra. Senz’aver azzardato né gli soldati di questa
parte, né gli altri del campo nemico, di prenderlo. Si credette aver morto o
essere spirante. E che nella notte gli Spagnuoli se l’avessero retirato.
Bombe dentro la cittadella fortificata. Pericolo nel
bastione di S. Maria
Vi furono, conforme al solito, molte cannonate in città disparate dalli
Spagnuoli col gettito di più bombe, facendosi l’istesso dalli nostri fortini
contro gli nemici. Tra l’altre bombe, due andarono sin dentro la Cittadella ed
una nel bastione di Santa Maria. Tutte crepate e non danneggiarono persona
alcuna, con tutto che su detto bastione s’avessero retrovato molti soldati di
guardia, tutti li cannonieri ed alcuni paesani e napoletani che si conferivano
sopra detto bastione per osservar con più faciltà e meno spavento della loro
vita ed il campo spagnuolo e le loro azzioni, apparendo distintamente il tutto
per l’altezza del luogo. Nella parte inferiore della città furono quasi
innumerabili, devastandosi più e più case. Al che più non si badava,
attendendosi sol alla conservazione della sua vita d’ogni cittadino. La notte,
poscia, nemeno si puotè aver alcun atomo di tempo colla quiete, poiché fu così
continuo e fervente il disparo di schioppi nelle trinciere, col gettito di
molti mortari di pietre, che stordirono tutti, credendosi che non avesse
seguito con tal impegno alcuna invasione. E venne notizia che solamente due
restarono morti in dette trinciere in detta notte, un caporale ed un soldato
tudesco. Altri due stroppiati nelle gambe e molti feriti.
25 marzo 1719
Disertori e strategie matrimoniali: si dice che il
figlio del re di Spagna sposi la figlia del re di Svezia 25 marzo. Vennero
dal campo spagnuolo tre desertori. Riferirono che s’abbia inviato nella città
di Messina la magior parte del bagaglio delli officiali, diverse provisioni di
guerra e molti cannoni per essere sfoconati e di nessun servizio. Si sparse
voce che il Re di Spagna, per aver aiuto in questa guerra, abbia collocato in
matrimonio il Duca [segue lacuna nella
copia, ndr], suo figlio, colla figlia del Re di Svezia.
Funerale di Ghirone Silla, marchese d’Andorno,
seppellito nel Duomo antico con tanto di lapide Si condusse al
sepolcro il cadavere del generale marchese d’Andorno nella Matrice chiesa,
posta nella Cittadella, nella quale sempre commorò da che venne in questa. Si
fece l’essequie con molta pompa. Primariamente si squadronarono tutte le truppe
savoiarde e piemontesi nel piano di detta Matrice, guidate dall’officiali della
loro nazione. E condotto il cadavere del defonto, era associato immediatamente
presso la bara dal signor generale Zumiunghen, comandante tudesco, e da
Monsignor Missegla, comandante della Piazza. Come pure dal signor generale
Vianzani con altri officiali di detta nazione, conducendo tutti torcie accese,
a due a due. Ed interpellatamente seguì il triplicato disparo di tutte l’artegliarie,
così di detta Cittadella, come di tutti gli fortini, col quatriplicato disparo
degli schioppi da dette truppe. Inoltre, detto cadavere fu associato da tutto
il Clero, con lumi in mano. Per certo che fu con molta pompa il funerale,
avendosi sepelito il cadavere in mezzo d’essa Matrice. Con aversi fatto la
lapide di pietra di Siragusa per l’intercetto, non essendovi meglior pietra,
volendo gli suoi nazionali che doppo si facesse marmorea.
Bomba distrugge la casa del maestro Pietro
Buccafusca Crepò,
tra l’altre bombe disparate in città, una in casa di mastro Pietro Buccafusca,
ove aveva seguito altra consimile alcuni giorni adietro. E ritrovandosi nella
casa sudetta solamente una sua figlia nomata Grazia, per avere crepato detta
bomba rovinossi dell’intutto la casa e la povera figliola restò sepolta sotto
le pietre e canali e legni. E fu miracolo evidente che non avesse perito sotto
la fabrica.
La sua fortuna
fu che la detta di Buccafusca si retrovava in piedi innanzi un armaro di notaro
Francesco di Jaci, repostato in detta casa. E nel precipitarsi detto stipo, per
esservi stata di sotto una sedia, non potè dell’intutto esso andar a terra,
trattenuto da detta sedia. Sotto il quale cadetta essa figliuola e li servì di
riparo per non restar uccisa sotto le pietre. E con tutto ciò la medema molto
patì per aver rimasta tutta lacera e maltrattata. Oltre lo spavento che ebbe
per tutto il tempo che si vedeva giacente sotto le mura.
Imbarcazioni in partenza per la Calabria allo scopo
di rifornire Milazzo
La notte trascorsa partì da questo Capo un comboglio di più imbarcazioni per la
Calabria, ad effetto di condursi fra breve viveri e provisioni di guerra per
sostento di questa povera città, per non restar la Piazza sprovista di tutto
quello era necessario.
Morti e feriti nelle trincee La medema notte
sin all’alba fu continuo il fuoco della moschetteria nelle trinciere, d’una
parte e l’altra, assieme con il disparo di molti mortari con pietre. Ed inoltre
vennero in questa città molti soldati feriti gravemente e semivivi, alcuni de’
quali per la strada morirono. Con aver restato in dette trinciere altri sei
soldati uccisi, quali non comparsero in città, poiché nell’istesso instante si
sepellirono - o realmente dell’intutto morti o spiranti - vicino le dette
trinciere nella sabbia, siccome sempre s’osservò dal principio di detto assedio
sin al fine.
Giungono via mare armi e munizioni dalla Campania Da Napoli
vennero in questo Capo venti tartane, con aver condotto cinque cannoni ben
grossi da battere ed un mortaro di bombe, al numero [queste ultime, ndr] di cinquemila. E da detto Capo si condussero
nascostamente nella Marina, ripostandosi e con asserirsi che dovessero
adoprarsi allorché si dovea andar in Messina per batterla [per attaccare Messina, ndr].
26 marzo 1719
Tentativo di avvicinamento a due imbarcazioni
partite dalla Piana in direzione Palermo 26 marzo. Vennero in detto Capo nel
medemo giorno due galere ben corredate (con avere scortato alcune tartane e
felughe cariche di molte provisioni di viveri per le truppe tudesche) dalla
Calabria. E le dette due galere, approdate le dette tartane e felughe, di
subito si partirono per riconoscere alcune tartane, le quali avevano partito
dalla ripa ove dominavano gli Spagnuoli, viaggiando verso Palermo. Ma avendo le
tartane nemiche il vento favorevole, in nessun modo essere gionte. Perloché le
galere di nuovo si retirarono in detto Capo [nota nel manoscritto: sin qui è stato copiato. Siegue l’originale
al numero 13 sin al fine. Il manoscritto è infatti diviso in diversi
gruppetti di pagine tra loro rilegati e numerati ad uno ad uno nella copertina
di ciascun gruppetto, ndr].
Il sequestro del carico (perlopiù tabacco spagnolo)
di un’imbarcazione francese, partita da Livorno, al comando di capitan Claudio
Costa, il cui equipaggio - imprigionato - fu difeso in giudizio dall’autore del
presente manoscritto
In detto giorno comparì vicino al Porto una tartana francese. Ed essendo sopra
il Capo, fu chiamato il padrone nomato Padron Claudio Costa per venir
all’obedienza d’una barca ben armata con quantità di soldati. E benché la
tartana s’avesse potuto defendere, per esser pure visionata con quantità d’arme,
nondimeno si rimese. E detto capitano di Costa unitamente cogli altri marinari e
con Sebastiano Blandi da Livorno, [quest’ultimo] sopracarico di tutta la
mercantia consistente in tabbacchi di Spagna et altri. Venuti all’obedienza
innanzi al Generale Zumjungen, comandante tudesco, e da esso subito furono
posti in carcere dentro una stanza dentro il convento di San Domenico, ove si
tratteneva sudetto generale Zumjunghen. Con aversi trasportato non solo tutta
la mercanzia in esso convento, pure li fu tolto tutto il denaro che in detta
tartana si retrovava.
E con tutto che
s’avesse da loro [fatta] instanza memoriale da me formata, rappresentandosi
esser essi neutrali e non aver partecipio alcuno, né dependenza nella sudetta
guerra, ciò nonostante non furono le loro petizioni intese. Anzi, avendosi
posto in giudizio la loro causa, da nuovo sentiti distintamente così il
capitano, come gli marinari col sovracarico, si decise sopra elogio fatto dal
signor Don Gugliemo Colonna, Auditore di Guerra in causa eletto, che tutta la
mercadanzia fosse stata in pena, col motivo che furono retrovati due passaporti
fatti in Malta - quando peraltro erano in stampa – [con] cancellato “Livorno” e
scritto “Malta”, sotto giornata specifica. Anzi, presi alcuni marinari della
medema tartana, deposero non avere mai stato in Malta. Come pure per aver
confessato sudetto padrone e detto sopracarico che intanto s’aveva accommodato
il passaporto solo per risparmio di dogana e che da mesi sette adietro avevano
fatto la partenza da Livorno, aver approdato in Trapani, ove vendettero
porzione del tabbacco. Doppo seguì l’istesso nella città di Palermo. E da esso
partiti, passarono in Messina, da dove fecero partenza giorni adietro. E per il
tempo, retornarono in essa. Ed il giorno scorso fecero di nuovo la partenza. Et
in detto giorno vennero in questo Porto, pretendendo retornare in Livorno,
conducendo da Messina molte lettere dirette al medemo signor generale
Zumjungen, signor generale Veterani, savojardo [in verità il Veterani era al servizio delle truppe imperiali e non
piemontesi, ndr], ed altri per Napoli. E finalmente, col suvracarico e
marinari, furono rimessi in Napoli a quell’eccellentissimo signor Viceré, al
quale s’espresse ogni cosa sopra il seguito, colla rimessa dello processo già
sentenziato. E benché da quel viceregnante s’avesse doppo risposto che si
restituisse tutta la robba, nonostante la determinazione del Colonna - Auditore
- fatta, nondimeno non si effettuò la consegna, restando sequestrata sin ad
altro ordine. Il più peggio fu che la magior parte della mercanzia, consistente
in tabbacco di Spagna e di altre maniere, da ognuno generalmente fu assaggiata.
E così fra breve si disperse tra tanti e tanti offiziali.
Scarcerazione improvvisa del contadino Domenico
Maiorana
Pure in questo giorno, senz’alcuna aspettazione, fu scarcerato da questo Regio
Castello quel villano nomato Domenico Majorana, quale aveva in questa col Padre
Iaci, domenicano, dal campo spagnuolo sotto li 18 febraro scorso.
Cessano di sparare i cannoni del bastione di S.
Maria
Dalla notte non s’hanno più disparati gli cannoni che si retrovavano nel
bastione di Santa Maria, nella Cittadinella, d’ordine del signor generale
Zumjunghen, comandante tudesco, senza penetrarsi la cagione. Si diceva o per
esser tutti sfoconati o per aversi conosciuto che non più danneggiavano il
campo spagnuolo, siccome da più disertori da quel campo s’aveva riferito.
Almeno si retrovava nelli cittadini questo picciolo sollievo che non erano più
storditi col rimbombo veemente del disparo de’ cannoni. Per certo era
insoffribile il rumore per aversi aperto più case, aprendosi molte mura. Non
cessando, bensì, alcune gisterne intiere, specialmente tutte quelle che si
retrovavano dalla parte di sotto e nel Borgo, non retrovandosi alcun canale
sopra delle case. Il non dispararsi li cannoni sudetti, essendo di libre
sessanta per ognuno, seguì per più giorni, come in appresso s’espresserà.
Continua l’azione degli altri cannoni collocati nei
vari forti del centro urbano Con tutto che s’abbia suvraseduto al
disparo di detti cannoni nella Cittadella, non perciò ha cessato il fuoco
dell’altri cannoni nelli fortini in San Rocco e San Francesco di Paola e
nell’altri, così nel Quartiero nomato de’ Spagnuoli, nella Marina vicino il
convento del Carmine, come in quelli delle Porte di Milazzo [Messina, errore nel manoscritto, ndr] e
di Palermo ed in altri. Continuando pure il gettito delle bombe ed il disparo
di mortari di pietre nelle trinciere dei Spagnuoli, così di giorno come di
notte. Il consimile si frequenta dalli Spagnuoli contro questa città. Anzi, la
notte nelle trinciere non cessa il disparo di migliara di scopettate, con
dispararsi molte bombe di pietre. Ed in questo giorno furono uccisi tre soldati
tudeschi, alli quali si fecero le cappelle nella sabbia. E molti restarono
feriti e stroppiati.
27 marzo 1719
Una bomba attraversa la Porta del Capo 27 marzo. Oltre
il disparo de’ cannoni e del continuo fuoco d’una parte e l’altra, col gettito
di bombe, avendosi dirupato più mura di case. Una di esse trapassò la Porta del
Capo, un’altra pervenne sin al piano della Matrice nella Cittadella, altra
vicino il convento de’ Padri Cappuccini, altra nel quartiero del Giardinello,
luoghi molto distanti. Ed altre in altri quartieri. Ma per aversi disparato con
molta elevazione per più correre, la maggior parte di esse crepava nell’aria. E
così non seguiva molto danno né alle persone, né alle fabriche. Solo cascavano
alcuni pezzi di dette bombe tra le persone. Ed alle volte seguiva alcun danno
di feriti.
28 marzo 1719
Cinque disertori giungono dal campo spagnolo
fornendo versioni non sempre concordi 28 marzo. Vennero in questo giorno, su
l’alba, cinque desertori dal campo. Raccontarono molte dicerie. Il che si
comproba per essere stato il loro ragaglio diverso tra essi. Affermarono bensì
concordi che nel campo non si pativa di viveri, retrovarsi da 18 mila soldati
scielti ed armiggeri, come pure esistevano molti soldati infermi. Ed inoltre
che non passava giorno che non desertavano molti soldati tudeschi da questa,
ricovrandosi in quel campo.
Consiglio serale tra generali austro-piemontesi dopo
una serie di sopralluoghi mattutini Il generale Zumjungen, comandante
tudesco, ben mattino uscì dalla città col seguito di molt’altri generali ed
officiali tudeschi, ne’ quali sempre esistette il comandante Missegla. Con aver
tutti circondato gli posti così in città e nella Cittadella, come fuori di
essa. Tanto che venne a pranzare passato Vespro. E la sera si tenne consulta
fra loro nel convento di San Domenico, nella stanza del sudetto signor generale
Zumjungen, coll’assistenza di molti e molti generali e tudeschi e di Piemonte e
savoiardi. Affermandosi da molti che s’avesse discorso sopra gli affari del
Regno per il dominio supremo di esso. Il che si comprobò il giorno susseguente,
come si dichiarerà.
Morti e feriti nelle trincee: soldati seppelliti in
prossimità delle stesse Il fuoco di cannoni e di bombe non cessò tra l’uno
e l’altro esercito, facendo sentire da tutti gli bastioni e fortini, non
rallentandosi, ancorché minimo spazio di tempo. E la notte fu molto continuo il
disparo di scopettate nelle trinciere, disparandosi più e più mortari di
pietre. E restavano uccisi un tenente, cinque soldati tudeschi. E molti feriti.
E portato il tenente in città per curarsi, non avendo morto di subito, fra
poche ore morì. E li soldati seppelliti nell’arena al solito.
29 marzo 1719
Un tenente colonnello piemontese giunge dalla
Sardegna per annunciare alle proprie truppe l’abbandono del Regno di Sicilia,
trasferito all’imperatore Carlo VI 29 marzo. La notte scorsa passò in
questa città il signor tenente coronello del regimento di Savoja monsignor di Claramont,
venuto dall’isola di Sardegna. Portava lettere al signor marchese d’Andorno,
generale dell’istessa nazione, con ordine espresso di quel re che si conferisse
di subito in Turino. Si disse che le truppe di Piemonte e Savoja che si
ritrovavano in questa, venendo il comboglio tudesco, dovessero tutte passare in
Siragosa, ove, unendosi coll’altre, insieme partissero per Trapani. E raccolti
tutti, conferirsi nella Sardegna, renunciando il Regno alla Cesarea e Cattolica
Maestà di Carlo Sesto Imperadore. Giaché si retrovava tutta l’isola circondata
dalle navi inglesi. Il che recò molt’afflizione alle sudette truppe, poiché
resiedevano nel Regno con ogni loro sodisfazione, con tutto che molto avessero
sofferto nella guerra che persisteva. Anzi, borbottavano cogli paesani che
meglio s’intendevano sodisfatti col governo tudesco che di Savoja, onde era
necessario il tacere per non darle motivo di maggiori imprecazioni.
Il fuoco fu
continuo col disparo di cannoni e bombe, dal mattino sin la sera. Così da
questa come dalli Spagnuoli. E la notte non cessavano le scopettate nelle
trinciere, col gettito di molte pietre. E non si palesò se avessero restato
offese le nostre truppe in dette trinciere.